
Arriva la tassa sui tatuaggi, milioni di persone sul piede di guerra - lunam.it
Il governo valuta una tassa nazionale sui tatuaggi: prevista un’aliquota del 6%, anche per i disegni già presenti sulla pelle. Ecco cosa prevede la misura.
Scatta una nuova misura fiscale che riguarda milioni di cittadini italiani: una tassa sui tatuaggi, in fase di valutazione definitiva da parte delle autorità competenti. Secondo quanto trapelato da ambienti ministeriali, l’imposta sarebbe applicata non solo ai nuovi tatuaggi e piercing, ma anche a quelli già eseguiti, introducendo di fatto un principio di retroattività fiscale che sta facendo discutere giuristi, tatuatori e consumatori. L’aliquota proposta è del 6%, con versamento obbligatorio e sanzioni previste in caso di inadempienza. Il provvedimento, presentato come intervento correttivo alle minori entrate tributarie registrate nel primo semestre 2025, ha acceso un vivace dibattito pubblico.
Le motivazioni dietro l’imposta e le reazioni del settore
Fonti interne all’Agenzia delle Entrate riferiscono che la misura rientrerebbe in una più ampia strategia di emersione del sommerso nel comparto dei servizi estetici e artistici. Il settore dei tatuaggi, in Italia, vale oltre 550 milioni di euro l’anno e opera con oltre 5.000 studi autorizzati, secondo le stime dell’Associazione Nazionale Tatuatori Professionisti. La proposta fiscale mira a colpire una pratica ormai diffusa in ogni fascia sociale, con l’obiettivo di generare entrate certe e costanti.

L’applicazione retroattiva dell’imposta ha però sollevato interrogativi giuridici significativi, in particolare rispetto all’articolo 23 della Costituzione, che richiede che ogni prestazione patrimoniale a carico del cittadino sia prevista per legge. Diversi avvocati tributaristi hanno già ipotizzato ricorsi in massa qualora il tributo venisse confermato con carattere retroattivo. Sul fronte commerciale, molte associazioni di categoria hanno denunciato il rischio di contrazione immediata della domanda, in particolare tra i giovani, già alle prese con inflazione e precarietà occupazionale.
I precedenti internazionali e le ipotesi sul futuro italiano
Non si tratta di una novità assoluta a livello globale. In Arkansas, ad esempio, la tassazione dei tatuaggi è realtà dal 2005: la legge statale prevede un’imposta del 6% su ogni intervento di body art, inclusi piercing e microdermal. La misura ha generato introiti stimati in oltre 10 milioni di dollari l’anno, ma ha anche provocato una delocalizzazione dei clienti verso stati limitrofi più permissivi.
L’Italia guarda con attenzione a questi modelli, anche se il nostro sistema fiscale non consente margini di manovra ampi senza passaggi parlamentari formali. Per ora, la proposta è ferma in Commissione Finanze, dove sono stati chiesti chiarimenti in merito alla gestione delle certificazioni di avvenuto tatuaggio, alla datazione delle opere già realizzate e alla modalità di riscossione per i soggetti privi di fattura originale.
Tra gli scenari ipotizzati, c’è anche l’introduzione di un registro nazionale dei tatuaggi, sul modello del fascicolo sanitario elettronico, che permetterebbe di monitorare sia la diffusione sia l’evasione dell’imposta. Una misura che, se attuata, porrebbe nuovi problemi in termini di privacy e gestione dei dati sensibili. Resta da capire se l’imposta sarà effettivamente approvata in questi termini o se subirà modifiche per evitare un impatto eccessivo su consumatori e professionisti del settore. La questione resta aperta.